Farmus Maaherra è nato tempo fa al Nord (della Libia). Durante una vacanza in Italia, per la precisione in Calabria, sfuggì alla sorveglianza dei genitori e si smarrì nell’Aspromonte. Fu trovato e amorevolmente curato da pastori locali, dai quali
imparò un fluente calabrese, versante ionico, e naturalmente conobbe quei difficili luoghi alla perfezione. I pastori, affezionatisi al ragazzo non lo restituirono mai alla famiglia, anzi, quando un gruppo di loro si trasferì con le greggi in Val Brembana, lo portarono seco. Mai avrebbero rinunciato ad un così valente mungitore delle loro caprette! Il giovane, assai versato nelle lingue, imparò in breve tempo anche un eccellente bergamasco, versante bresciano. In seguito, stancatosi della vita agreste, mise temporaneamente a riposo i suoi pastori-custodi a randellate, e fuggì a Milano. Qui si distinse ben presto, anche a livello europeo, come traduttore ed interprete di calabrese-bergamasco (e viceversa). Questa professione, molto lucrosa stante la scarsità di esperti nella materia, gli ha permesso di vivere agiatamente, lasciandogli anche del gran tempo libero, che il nostro ha vantaggiosamente impiegato per scrivere interessanti romanzi, ambientati nella terra della sua giovinezza. Questa che presentiamo è la sua prima fatica letteraria, scritta originariamente in calabrese e poi versata in bergamasco. È da quest’ultima versione che è stata tratta la presente prima edizione italiana, alla quale seguirà ben presto la traduzione in finlandese.